Simboli di ciò che è essenziale, gli odori e il loro riconoscimento consentono un accesso all’immagine, attraverso la quale la psiche, dalle sue profondità, si manifesta alla coscienza, che può determinare una conoscenza più approfondita, consustanziale, “essenziale”, comunque diversa da quella fornitaci da un approccio legato al vedere e all’ascoltare. La percezione del “soffio dell’anima” muove in una forma emozionale. Nel tentativo di cogliere l’essenza di un cibo o di un’idea, così come si coglie un fiore, l’uomo s’illude di poter trattenere anche le loro più intime nature, ma s’inganna, perché l’essenza non si lascia afferrare completamente e, al contrario, afferra.

Quella del profumo e dell’odore rappresenta perciò una metafora della psiche, perché nella sua essenza, come sostiene Hillman, la psiche “è, e resta, simbolica, un’immagine che non può essere afferrata in tutta la sua profondità”. La sua natura si situa ad un livello intermedio dell’essere, tra il materiale e lo spirituale, tra il dato oggettivo e la pura astrazione. Così, una modalità psicologica di ricerca non potrà che fondarsi sulla discriminazione delle essenze, nel riconoscimento della natura vaporosa della psiche. Capacità che solo chi, detto in forma traslata, possiederà un fiuto affinato potrà possedere.A onor del vero e per uscire dalla metafora, va detto che, oltre a variare con  l’età, l’olfatto si presenta in forma diversa negli uomini e nelle donne. Queste ultime, infatti, sembrano avere più “naso” degli uomini. La loro superiorità olfattiva è il risultato di una differente modalità conoscitiva degli odori. Esse li riconoscono in maniera più diretta e intenzionale, li “vivono” più pienamente rispetto agli uomini. Senz’altro fanno un uso migliore di quest’organo di senso. L’effetto della stimolazione sensoriale prodotta dall’odore è, quindi, in generale, quello di consentire la conquista e l’utilizzo della memoria immaginativa, ma anche quello di ampliare le nostre facoltà coscienti e di giudizio e questo, a detta di alcuni, anche in sogno. L’odore ci trascina e ci trasforma, così come, a sua volta, il cibo che mangiamo può determinare addirittura una modificazione dell’odore della nostra pelle. Ogni individuo ha un suo personale odore corporeo. E’ un odore unico e diverso, geneticamente determinato. E pur tuttavia, l’attuale società tende ad annullare gli odori e non solo quelli corporei. Questa tendenza non si ferma solo al corpo, ma sconfina anche nel regno dell’alimentazione. Il corpo e, cosa ben più grave, il cibo viaggiano verso un annullamento delle loro rispettive valenze olfattive. L’inveterata abitudine di mescolare alle pietanze spezie quali la cannella, la noce moscata, lo zenzero e la vaniglia smaschera l’intreccio indissolubile tra profumeria e gastronomia, arti all’apparenza agli antipodi, ma di fatto strettamente interconnesse. Spezie e erbe aromatiche hanno combattuto una secolare guerra per il rispettivo primato gastronomico. Ma, effimera come la loro essenza, effimera fu anche la loro fortuna. Le spezie che per più di un millennio erano state il segno distintivo della tavola ricca, amate e desiderate, a poco a poco scomparvero dall’Europa del XVI secolo. Segno di superiorità e di ricchezza, simbolo di piacere, le spezie, già con le invasioni saracene nel Medioevo, esaltarono i palati degli europei e costituirono una delle spinte verso l’era delle grandi scoperte geografiche e quella della fondazione degli imperi coloniali. La scoperta di nuovi mondi permise una loro grande disponibilità e la poderosa pioggia di profumi e di sapori che investì la tavola rinascimentale provocò un’assuefazione e una stanchezza nei loro confronti. Cosicché le élite, soprattutto in Francia, abbandonarono le spezie e le sostituirono con l’erba cipollina, lo scalogno, la maggiorana, cioè con erbe povere e contadine. Per i poveri dei borghi urbani e delle campagne, però, l’uso di erbe semplici al posto di condimenti più raffinati non ha mai rappresentato una scelta o una moda, ma una dura necessità. Queste genti costrette a vivere ai margini delle ricche corti si comportavano a tavola allo stesso modo di quando dovevano curarsi da qualche male: “sostituivano le ricche spezie, così come i costosi medicamenti, con povere e semplici erbe”. Nella comune denominazione dell’indicazione gastronomica e della prescrizione medica sta la chiave di queste consuetudini. Entrambe vengono tutt’oggi indicate con il termine “ricetta”. L’uso delle erbe aromatiche ebbe, quindi, una grande diffusione in Francia e in Italia, mentre i paesi dell’Est e del Centro-Nord, come la Germania, l’Olanda, la Polonia e la Russia, rimasero – e tuttora sono – maggiormente legati ai sapori delle spezie.La diffusione di un’alimentazione sempre più povera di profumi rappresentò e rappresenta anche oggi un costume particolarmente negativo perché l’olfatto è il nostro organo di senso più evocativo e quello che, come abbiamo visto, è maggiormente legato all’universo rimembrante delle emozioni. Marcel Proust descrisse il gusto e l’odorato come i sensi che “soli, più fragili ma più durevoli, più immateriali, più persistenti… portano saldamente sulla minuscola e impalpabile stilla della loro essenza, la vasta architettura del ricordo”.Sembra inverosimile, ma il nostro naso è capace di distinguere tra ben diecimila odori diversi. Una sostanza chimica può stimolare le nostre cellule olfattive solo se possiede tre requisiti: deve essere volatile, almeno parzialmente solubile in acqua per poter passare attraverso il muco che le riveste nelle cavità nasali ed essere liposolubile. L’olfatto è stimolato solo quando l’aria che respiriamo viene proiettata verso la parte superiore delle cavità nasali. La sensibilità olfattiva umana si è molto accresciuta con la ben nota pratica dell’annusata. L’aroma di un caffè, ad esempio, è prodotto da 700 stimolazioni olfattive, l’odore di una fragola da 500. Una bistecca alla griglia ne libera, addirittura, ben 2.500. Ognuno di noi, però, possiede quello che è noto come “indice di edonismo olfattivo”. Esso consiste in una vera e propria scala emozionale di gradimento generata da una concentrazione, variabile e soggettiva, di una sostanza chimica percepita e giudicata più o meno piacevole. Ciò significa che un odore o un profumo possono essere ritenuti piacevoli da una persona solo ad una determinata intensità di stimolazione; a valori diversi possono non essere percepiti o rifiutati perché non graditi. L’eccessiva stimolazione degli organi di senso può generare, infatti, dolore o fastidio.Riscoprire, quindi, l’importanza della nostra sensibilità olfattiva rappresenta non solo un imperativo edonistico – che già di per sé costituirebbe un valore da perseguire in una società, come la nostra, troppo indaffarata per trovare il tempo di coltivare piaceri, a prima vista, più effimeri -, ma anche un obiettivo di medicina preventiva. La prima regola da seguire per rieducare quest’organo così peculiare è quella di ridurre drasticamente l’uso del sale da cucina e di sostituirlo con tutte quelle erbe aromatiche e spezie che da secoli la nostra tradizione gastronomica ha indicato, appunto, con il nome generico di  “odori”. Quando, nei secoli passati, il sale da cucina era una merce rara e preziosa, le erbe aromatiche e le spezie rivestivano un ruolo di rilievo nella gastronomia. Oggi che il sale è a disposizione in grande abbondanza, le erbe aromatiche e le spezie sono state cacciate dalle cucine. Questa situazione rappresenta un grave errore nutrizionale perché gli aromi freschi, oltre a procurare un piacere olfattivo, apportano principi nutritivi, vitamine e minerali utili per la digestione e per il metabolismo cellulare. Al contrario, il sale introduce nell’organismo dosi eccessive di sodio, elemento chimico capace, se ingerito in quantità superiori al fabbisogno giornaliero, di determinare danni biochimici irreparabili. Ma, soprattutto, di limitare le nostre possibilità conoscitive, quelle che ci attraversano ogni qualvolta un profumo ci ricorda che l’esistenza è anche un soffio inatteso di vitalità.